Simbionte
(Site Specific)
Il Museo Davia Bargellini, affascinante contenitore di una raccolta di reperti storici, artistici e artigianali dell’area bolognese, viene premiato con una serie di nuove acquisizioni, provenienti dalla collezione PetriPaselli.
Da sempre tendenti all’accumulo e alla trasfigurazione fotografica di memorabilia e feticci che testimoniano del modo di vivere proprio o altrui, Matteo Petri e Luciano Paselli confezionano reperti di varia natura, a metà strada fra autentica retrospettiva autobiografica e finzione dei meccanismi museali: ritratti a olio, fotografie, ceramiche, marionette, un modellino del giardino in comune delle loro case d’infanzia, sequel ideale della celebre miniatura architettonica di una villa settecentesca esposta stabilmente nel museo Davia Bargellini.
Gli interventi degli artisti, collocati in vari punti delle sale espositive, sono individuabili grazie ad una versione aggiornata della piantina dell’allestimento. L’estensione delle raccolte museali ad opera del duo artistico bolognese viene documentata attraverso un sito internet realizzato ad hoc.
Karin Andersen
OPERE
Piatti in porcellana con profilo in smalto dei due artisti. Apparentemente della stessa epoca degli originali esposti nel museo per il decoro a merletto traforato e la tonalità degli smalti, i piatti da tavola sono stati realizzati con materiali e tecniche contemporanee. Il piatto da portata allude alla dimensione conviviale e quotidiana della tavola imbandita intesa come momento disocializzazione. Per questo i due artisti portano alla tavola del Davia Bargellini i loro piatti. Attraverso queste opere infatti PetriPaselli raggiungono idealmente una simbiosi non solo estetica ma più intima e familiare con quelli che possiamo considerare frammenti di vita domestici della collezione Davia Bargellini.
La seconda opera prende spunto dal teatro delle marionette già presente nel museo. I due artisti hanno costruito artigianalmente un teatrino di piccole dimensioni per bambini, dove i personaggi sono i protagonisti della mostra: Karin Andersen, Luciano Paselli, Matteo Tommaso Petri. I tre si trovano al centro della scena che rappresenta il primo ingresso degli artisti nel museo. Il Davia Bargellini diventa metaforicamente il palco di un grande teatro dove gli artisti si misurano con spazi eopere storiche rivestendoli con la loro immaginazione. Elementi come i due talamoni rosa, realizzati dalla scultrice Angela Maria Zecchini, e il portico di Strada Maggiore raffigurato nelle quinte del teatro contestualizzano l’opera creata ad hoc per il museo. Altri elementi sono proiezioni di fantasia degli artisti, come il paguro rosa che scende dalla carrozza o le radici che fuoriescono dalle statue. In particolare la carrozza, realmente esposta nell’ultima sala del museo, rappresenta nella metafora della simbiosi il luogo d’innesto e riparo per l’organismo ospite, il paguro, e per sua stessa natura sottolinea la natura dinamica di questa simbiosi. I colori surreali (nero, bianco, fucsia) portano l’attenzione agli elementi stranianti e fantasiosi.
Un vero e proprio stemma della “famiglia” PetriPaselli, ovviamente non tradizionale ma presentato inchiave kitsch e contemporanea. Il tessuto e la lavorazione prendono spunto da una tradizione centenaria di ricami e arazzi e dall’esaltazione del potere attraverso stendardi, stemmi e bandiere. Realizzato su commissione dalla mano di Beatrice Cappelli, l’arazzo mostra i volti intrecciati degli artisti.
“Luciano Paselli (1983) e Matteo Tommaso Petri(1981), nati a Bologna, si conoscono attraversola rete che divide i loro giardini quando hanno rispettivamente 4 e 6 anni.” Questa è stata la frase iniziale del curriculum con cui PetriPaselli si sono fatti conoscere nei primi due anni di mostre, concorsi, pubblicazioni. Nel momento di creare delle opere che si innestassero con il museo ampliandolo e arricchendolo, PP hanno ideato un giardino che andasse ad ampliare la casa delle bambole esposta nella quarta sala del museo. Il “giardino delle bambole” raffigura il giardino d’infanzia di Luciano e Matteo con una attenzione quasi maniacale ai particolari. Ovviamente non può mancare la rete attraverso la quale si sono conosciuti, gli alberi e glia ereoplanini con cui giocavano da un giardino all’altro. E’ un giardino incantato, dove nel sottosuolo non ci sono sassi e radici, ma bambole, macchinine, soldatini e animali diplastica. E’ il terreno dove sono cresciuti, da cui hanno preso le proprie origini e in cui hanno trovato spunto per le loro fantasie e le ricerche che stanno confluendo da alcuni anni nei loro progetti artistici. E’ un giardino verde e rigoglioso ma abbandonato, privato della figura umana così come la casa delle bambole ci appare priva dei suoi inquilini. In questo modo il giardino e la casa diventano spazi mitici ed ideali dove celebrare il ricordo e le origini.
Questo diario fotografico donato da PetriPaselli permetterà al visitatore di entrare nel loro intimo, nella loro memoria e nella loro infanzia. Non aspettatevi il solito album difotografie di famiglia, dove compaiono i compleanni con i parenti, il primo giorni di scuola, la comunionee così via. Qui non troverete niente ditutto questo. Quello a cui ci si trova difronte è insieme di presente e di passato, di fotografie create per l’occasione che fanno da sfondo a scene del 1987 o viceversa. Immagini d’archivio del Museo diventano a far parte della memoria più intima dei due artisti. Un intrecciarsi continuo di finzione e realtà, di fantasia e memoria. Un corpus di immagini in bilico tra un album di famiglia e un diario di viaggio, quello percorso dagli artisti dalla loro nascita fino al DaviaBargellini.
In una donazione che si rispetti non possono mancare i ritratti ad olio dei benefattori, in particolare quelli raffiguranti i due artisti. In questo caso PetriPaselli si sono avvalsi di una collaborazione speciale commissionando, in piena sintonia con la storia dell’arte classica, due ritratti alla sorella di Matteo, Emilia Maria Chiara Petri, pittrice. Questa operazione rafforza il legame Petri-Paselli chiamando in causa una terza persona a collaborare con loro scegliendola immancabilmente all’interno della famiglia. La tecnica è classica così come le cornici scelte per esaltare i ritratti al pari di quelli presenti nella sala. Fuori dagli schemi classici è invece il taglio che la pittrice impone ai ritratti: un close up di natura fotografica sui visi dei due artisti che ne evidenzia lo sguardo severo e complice, eliminando tutti i dettagli superflui e contestualizzanti che invece troviamo in altri ritratti ottocenteschi. La disposizione simmetrica delle tele sulla parete pone i due artisti uno di fronte all’altro creando un triangolo immaginario con lo sguardo dello spettatore che si trova al centro. In questo modo lo spettatore diventa parte integrante dell’opera realizzando una perfetta simbiosi con essa.
Questa è l’unica opera che non ha richiami autobiografici, ma non per questo meno importante. L’installazione è nata dalla prima idea di allestimento pensato per il Davia Bargellini per la mostra “Simbionte: ipotesi di mutualismo museale”. “Non abbiamo ancora un progetto ben definito, ma solo qualche immagine che ci ispira. Da sviluppare. Per esempio immagina due grandi chele rosa che escono dalla carrozza-paguro,…”. Questa frase è contenuta nella prima mail inviata alla curatrice Karin Andersen dopo un primo sopralluogo al museo. Idee deliranti giustificate dal fatto che PetriPaselli vedevano nel paguro e nel suo appropriarsi di una conchiglia vuota una perfetta forma di simbiosi. Così come il paguro si impossessa di una nuova abitazione, statica, vuota, “morta”, i due artisti volevano impossessarsi della carrozza piena di polvere per farla rivivere e trasformarla nella “casa” di un gigante paguro di pezza rosa. Tutto questo è stato accantonato, ma il paguro è rimasto il simbolo della mostra: lo troviamo sul sito dedicato, nel teatro e infine in questa opera insieme ad altri rappresentanti del fondale marino. Sono animali in attesa di essere utilizzati, di essere portati a nuova vita. Rappresentano le idee utopiche che non verranno mai realizzate ma che tengono viva la creatività. E’ l’unica opera che ha un legame esplicito con il mondo della biologia, creando, insieme al busto in cera “Ritratto diprelato” di Luigi Dardani e le sculture “La Chimica” e “La Morte”, un angolo in bilico tra un museo dell’anatomia e una Wunderkammer tedesca.